giovedì 11 marzo 2010

cinque frasi reazionarie?

Autogestione, occupazione, coperazione, lotta, agire contro il sistema sono utopie o sono davvero possibili? Non voglio sembrare disfattista ma visti gli effetti del 68, la maniera dei vari poteri di utilizzare e riassorbire i movimenti sociali per speculazione e manutenzione dell'ordine, visto l'esito delle rivoluzioni credo sia difficile qualsiasi cambiamento vero. Mi deprime la sensazione di essere sempre e comunque uno strumento del potere e che lo siamo un po' tutti, volenti o nolenti. Mi da tristezza pensare che l'unica possibilità sia ritirarsi su un albero con una buona visuale della contrada e criticare ciò che sta intorno, mi chiedo se ha senso se non serve a cambiare. Pero' non posso fare a meno di esprimere la mia critica e mi sento sempre più sterile.

3 commenti:

  1. Assolutamente no. Sono convinta che se il tuo comportamento cambia anche il sistema cambia. Il sistema è il sistema, ma io come persona anche se ci sto dentro posso ritagliarmi uno spazio di manovra per modificarlo. Il punto è farlo.

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  2. non ne sarei cosi certa. molte volte lo spazio di manovra che crediamo di avere è una libertà concessa per far si che nulla cambi. a parte il gattopardo, mi riferisco per esempio alla maniera di riabiliatare quartieri di citta attraverso il lavoro degli hippi, universitari e artisti.

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  3. Penso che dietro alla frustrazione di non poter cambiare il mondo intero, ci sia uno slancio utopista che riconosco aver avuto. È uno slancio importante perchè dietro all’utopia ci sta il sogno, la capacità di immaginare che sono fondamentali. Ma l’esserne frustrati è a volte quasi un gesto autoritario, che nasconde il desiderio di imporre la propria rivoluzione al mondo. Credo che sia importante utilizzare la propria creatività e testa per pensare alle alternative, ma queste si possono fare e vivere solo nella relazione quotidiana con altri. So che suona come un terribile e banale clichè ma sono convinto che la rivoluzione (intesa come cambiamento radicale), se non vuole essere un progetto d’oppressione, deve essere vissuta personalmente, deve essere un cambiamento radicale di sè stessi che viene condiviso, mediato e trasformato quotidianamente con gli agli altri. È troppo poco? No, è moltissimo. Possiamo rendere una persona felice con una parola, un gesto. Un’amicizia importante cambia la vita di entrambi e rimane il tronco su cui costruire tante altre cose.
    Pretendere che le proprie idee portino a un cambio radicale significa pensarsi superiori e questo può quindi anche arrivare a distruggere quella rivoluzione che si conduce giorno per giorno con relazioni alla pari con chi ci sta attorno. Attraverso queste relazioni si possono esprimere critiche e ricevere critiche, che aiutano a migliorarsi e sviluppare nuove critiche. Se ci si ritira dal mondo, e quindi dal confronto, questo processo diventa vano e quindi a questo punto sterile. Con affetto, A.

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